“L’obbedienza della
Fede: Maria di Nazareth”
a cura di
don Carlo Sansone
Premessa
Abbiamo la vita, ma non siamo la vita, l’amore ma non
siamo l’amore, la ricchezza ma non siamo la ricchezza, la povertà ma non siamo
la povertà, il peccato ma non siamo il peccato, abbiamo la salvezza ma non
siamo la salvezza; ne siamo destinatari. Non possiamo produrre il nostro futuro, non disponiamo nemmeno del giorno dopo, scrive
San Giacomo: “E ora a voi che dite: Oggi
o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e
guadagni, mentre non sapete cosa sarà domani. Dovreste dire invece: Se il
Signore vorrà, vivremo e faremo questo o quello” (Gc.4, 13-15).
Qualcuno indica il nostro futuro e ce ne fa partecipi, è
Dio. L’ateismo ha varie forme di espressioni, tra queste l’ateismo
intellettuale e l’ateismo pratico. Ambedue le forme esprimono e dichiarano il
rifiuto di Dio, di fatto non si può negare l’esistenza, o affermarla, di chi
non c’è o non è. Dio può essere ignorato, non negato. La fede non è un
corollario della vita, un espediente per far fronte alla vita stessa, ma
esperienza di Colui con cui vivo e che mi fa vivere, la fede è una virtù
teologale, vale a dire il dono battesimale mediante il quale ho la capacità – virtù
– di conoscere Dio, mediante
Parola
(cfr. Rm.10,14-17).
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Maria è nella condizione del futuro di Dio, che è anche il
nostro poiché per Lei con Lei e in Lei abbiamo ricevuto Gesù Cristo, la
condizione di Maria è la condizione di ogni persona che ascolta e voglia
accogliere
di Dio e in essa Dio stesso che si fa conoscere. Si richiede uno stato di
verità, la verità ci rende liberi, puri, vergini. Posso ascoltare una persona
ma senza sostare nelle mie idee e pregiudizi, altrimenti il mio ascolto non è
vergine, vale a dire libero, di purezza interiore che mi permette di accogliere
chi ascolto; mediante la parola faccio entrare l’altro in me e faccio entrare
me nell’altro. L’ascolto e l’accoglienza fecondano la parola, poiché è
diventata comunicazione e comunione, trasferimento dell’altro in me e di me nell’altro.
Maria da donna dell’annuncio è donna della vita. Donna della confessione di
fede a donna della vita di fede.
Maria santissima è custode di quest’evento di fecondità,
davanti al quale si risponde con altrettanta fecondità di risposta: “Eccomi,
avvenga di me quello che hai detto” .
L’obbedienza della fede di Maria e di ogni cristiano si
espone alla sorpresa, al turbamento, alla domanda del senso della presenza di
Dio, per essere fede nel tempo: fedeltà. La fedeltà dà credibilità e autorevolezza
alla fede, la sua misura è l’obbedienza, per essere spazio in cui Dio opera e
prende dimora. L’invito e l’esortazione
al gioire rivolto a Maria: “Rallegrati, tu che sei stata e rimani colmata del
favore divino, il Signore è con te” è il sentimento che pervade Maria.
Donna dell’attesa messianica, donna della preghiera, donna
del compimento delle profezie, donna indifesa e umile come indifeso e umile è
il povero che aspetta il suo Signore,
donna di Israele e della promessa fatta ad Abramo.
Il saluto a Maria da parte dell’angelo Gabriele “il
Signore è con te” è lo stesso rivolto dal celebrante alla comunità in ogni
celebrazione eucaristica, il saluto con cui si apre e si dà inizio alla
liturgia. La liturgia è tale se ha il riferimento a questo saluto per non
scadere in una convocazione d’intrattenimento e di cerimonia di circostanza, la
liturgia dall’annuncio – evento – del saluto diventa luogo di generazione di
figli nel Figlio Gesù presente ed operante sacramentalmente.
Chiesa
è chiamata, come Maria, a generare, sacramentalmente, Gesù vivo e vero nel suo
Corpo e Sangue. Non si può chiedere alla Chiesa ciò che non è chiamata a dare,
il tempio ospita fedeli non avventori viandanti. Se l’Eucaristia fa
l’Eucaristia, è chiesta la fede che confessa che “ nulla è impossibile a Dio” e
che ogni suo membro vive della possibilità di Dio.
Chiesa
non può fecondarsi se manca
Parola
è rivelazione, educazione, preparazione, attesa, preghiera di ascolto e di
purificazione per ricevere il Cristo; essa è il tempo richiesto per essere
fecondata e generare il Cristo. Maria non può non stare accanto al ministro e
ai suoi figli dell’attesa e del compimento. Come giustificare l’ingratitudine
dei suoi figli che mancano di gioia? E possono tradire il senso stesso del
Vangelo ‘lieta notizia’ che è altro dalla schiavitù dell’abitudine, ma è dono e
dono di grazia, la grazia è bontà, è gioia, è bellezza.
La solennità della liturgia non è data dal canto o da
altro ma dalla presenza di Gesù e della stessa comunità ecclesiale che ha un
valore sacramentale. In Maria tutta
entra con Lei, figlia, credente e orante, delle promesse e di Abramo, al
cospetto di Dio nel Figlio mediante lo Spirito Santo:” Lo Spirito Santo
scenderà su di te, ti prenderà sotto la sua ombra la potenza dell’Altissimo”
(Lc.1,35) per rinnovare e confessare la fede e la missione: ”Ecco, sono la
serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc.1,38).
In Maria ciascuno di noi riscopre la pienezza di grazia
che c’ è data, la grazia è dono di amore: Gesù. Noi siamo l’amore di Dio.
Essere cristiani è portare il nome di Cristo, il nome
dell’amore di Dio e di Colei che è
ciò che siamo e di ciò che siamo come Chiesa, madre nella Madre, che ogni
giorno ci nutre di Gesù? Quando la vita di fede diventa devozione circoscritta
dai bisogni e nei bisogni vestendo la fede a mio piacimento, scandita dal ritmo
incostante delle mie emozioni, delle relazioni, della ricerca di una vita che
sia gradita agli altri e conforme alle mie possibilità, non si realizza la
possibilità di Dio, la sua possibilità è l’onnipotenza. La fede come la
liturgia deve far passare il potere di Dio, che non necessita di autostima ma
si mostra per quello che Egli è: il Signore “Che ha il potere di confermarvi
secondo il vangelo che io annunzio e il messaggio di Gesù Cristo…rivelato ora e
annunziato mediante le scritture profetiche…a tutte le genti perché obbediscano
alla fede” (Rm. 16,25-26).
Sac Carlo Sansone
