“Mamma ho mal di pancia!”… la continua

A cura della dottoressa
Pamela Longo
Psicologa e Psicoterapeuta
L’argomento trattato nell’articolo precedente, ha suscitato una serie di domande, probabilmente proprio perché rappresenta un tema emergente sempre più frequente, per cui mi piacerebbe condividere qui, il senso delle domande e delle risposte poste.
Il tema in questione riguarda la difficoltà di accesso a scuola, che sperimentano alcuni bambini e ragazzi, attraverso l’espressione di manifestazioni somatiche quali mal di pancia o vomito, o in alcuni casi attraverso il rifiuto “categorico” della scuola.
Quando si verifica una situazione di questo tipo, si è chiamati tutti ad intervenire per cercare di comprendere cosa c’è aldilà della manifestazione comportamentale: in particolare la relazione scuola-famiglia dovrebbe attivarsi e mostrare tutta la sua funzionalità, in un’ottica di reciprocità senza palleggiarsi le responsabilità e senza che il giudizio prenda il sopravvento, sulla necessità di spalleggiarsi per il raggiungimento di un obiettivo comune. Mi sento di dire, in questo caso e in tutti quelli dove la rete formata da insegnanti e genitori rappresenta un valido sostegno qualora funzioni adeguatamente, che se ci sono delle manifestazioni di disagio bisogna ricordare che non è colpa di nessuno, ma è responsabilità di ognuno, a partire dal proprio ruolo, mettersi a disposizione del bambino/ragazzo per comprendere ed aiutare a significare la difficoltà che si presenta.
Ed ecco che certamente la famiglia ha il ruolo primario nella comprensione dei primi segnali di insofferenza, attraverso l’osservazione di quanto accade, infatti, prima di giungere a delle manifestazioni più conclamate, si passa attraverso dell’espressioni di disagio che possiamo osservare in un cambiamento a livello di stato d’animo e comportamentale, che definisce un prima e un dopo. Qui un posto d’elezione occupa il dialogo tra genitori e figli, che trova come periodo fertile di costruzione dalla primissima infanzia fino alla preadolescenza. Se in questa fase abbiamo sviluppato la capacità di dialogare, questo sarà uno “strumento” sempre utile che ci consente di accedere alla parte più intima e profonda dei nostri figli, i quali sapranno di vivere una relazione in cui ci si sente “visti” ed accolti, in cui l’adulto di riferimento rappresenta quel posto sicuro in cui potersi esprimere senza timore di essere giudicati ma ascoltati. Il dialogo a cui faccio riferimento, non è solo quelle delle domande in cui si chiede cosa si è fatto a scuola o con gli amici, ma è quella forma di comunicazione che probabilmente, lascia fuori il fare per lasciare spazio all’emozioni del vissuto, è quella forma di comunicazione in cui passa, in maniera tangibile, che “io ti vedo, nello stare più o meno bene e sono qui per te per accogliere ciò che provi e sostenerti fin dove vorrai andare”, è quella forma di comunicazione che non solo pone domande, ma attende pazientemente che i tempi siano più maturi per riuscire a ricevere una risposta.
Questo rappresenta un terreno fertile dove è possibile che una forma di disagio possa verbalizzarsi e dunque trovare accoglimento.
D’altro canto, anche la scuola dovrebbe porsi in una posizione dialogante nei confronti dei bambini prima e dei ragazzi poi, e nei confronti delle famiglie per svolgere un lavoro di piena collaborazione. La scuola dovrebbe agire sempre preventivamente attraverso la creazione di ambienti di lavoro realmente inclusivi, in cui la “diversità”, di cui ognuno di noi è portatore, possa essere riconosciuta e valorizzata all’interno di un clima di classe positivo. Per far ciò sarebbe assolutamente necessario, rivolgere lo sguardo non solo alle performance e al profitto, ma auspicare in maniere prioritaria al massimo benessere dei bambini e dei ragazzi, imparando a riconoscere il proprio valore per come si è e non per quanto si è performanti. Pertanto lavorare in maniera preventiva sul benessere emotivo degli alunni, rappresenta il prerequisito fondamentale e indispensabile ad ogni forma di apprendimento, ma soprattutto per far sì che le criticità possano essere riconosciute e risolte affinché l’ambiente rappresenti un fattore protettivo rispetto alla manifestazione di difficoltà.
Se queste sono le condizioni di partenza, è possibile che le difficoltà si possano presentare in maniera transitoria e contenute nella collaborazione tra genitori e insegnanti. Laddove dovessero persistere o risultare particolarmente invalidanti, chiedere l’aiuto di un professionista è altresì una risorsa a cui la famiglia può fare affidamento per aiutare a verbalizzare il disagio presentato.
Farsi aiutare, non è mai un fallimento, piuttosto un atto di coraggio verso sé stessi e chi si ama.
Buon primo maggio a tutti i lettori!