La depressione del rassegnato
Da questa settimana il team dei nostri psicologi si arricchisce di un nuovo componente: il dottor Ariele.

Ariele Di Gioacchino, psicologo e psicoterapeuta.
Sono specializzato nella fascia 13-29 anni ovvero quella dell’adolescente e del giovane adulto.
Mi occupo di tutte le problematiche, dalle più comuni, come ansia o depressione, a quelle più complesse come bipolarismo e disturbo borderline.
Esercito la mia professione nei miei studi di Psicoterapia a Roma e San Giovanni Rotondo.

A cura del dottor Ariele Di Gioacchino
Psicologo e Psicoterapeuta
Specializzato nella psicoterapia psicoanalitica dell’adolescente, del giovane adulto e della coppia genitoriale
La tristezza, la malinconia, lo sconforto sono tutte parti del vivere umano che ognuno di noi sperimenta più volte nella vita per periodi più o meno lunghi. Perdere il lavoro, la fine di un amore o la morte di una persona per noi significativa possono portarci a sperimentare questi stati emotivi così intensi e spiacevoli.
Il tempo però poi fa il suo corso, il dolore si allevia e si ritorna a focalizzarsi sulla vita e su dove si è diretti.
Cosa succede però se questo non accade? Se il dolore persiste e i pensieri restano bloccati è il momento di farsi qualche domanda.
Spesso si sente dire a qualcuno “sono un po’ depresso” per descrivere un periodo duro, ma ben lontano da una depressione conclamata. Si potrebbe partire quindi dal domandarsi se si è veramente depressi.
La perseveranza nel tempo di ruminazione ovvero pensieri ricorrenti che percorrono e ripercorrono lo stesso evento luttuoso (inteso come legato ad una perdita), basso tono dell’umore e di una visione cupa e senza speranza della vita sono tutti segnali da tenere in considerazione. Soprattutto se arrivano ad un impairment (blocco) sociale, affettivo o lavorativo (v. Di Sciascio et al. 2015).
Ma è su un altro segnale della depressione che vorrei soffermarmi ovvero la rassegnazione. Questo è un segno inconfondibile che la patologia è presente e va attenzionata.
Chi soffre di depressione non si limita a vedere il mondo attraverso lenti nere, la sua percezione del mondo muta tutto in un peso, un’angoscia, un pericolo. La risposta a tutto questo è di solito una rassegnazione, si abbandona la speranza in un futuro migliore accettando come immutabile un presente che si ripeterà all’infinto come un girone dell’Inferno dantesco.
Ci si rassegna al fatto che tutto sembri fuori portata: la felicità, ma anche la possibilità di trovare un partner o un lavoro soddisfacente. Persino chiedere aiuto a chi sta più vicino può sembrare una meta irraggiungibile.
Questo porta a una visione a imbuto che propone un solo esito inevitabile e quantomeno scoraggiante ed è esattamente ciò su cui si dovrà lavorare al fine di portarla ad aprirsi in un ventaglio di possibilità. Il percorso terapeutico porta questi pazienti a riuscire a vedere quegli strumenti che avevano dentro di sé, e a come sperimentarsi nell’imparare ad utilizzarli da soli fino a poter aiutare se stessi. Il compito più importante di un analista difatti è far sì che il paziente non abbia più bisogno di averlo come compagno di viaggio nel suo percorso di soggettivazione (Cahn 1998; 2010).
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