di Bruno Tinti (magistrato e scrittore)
Sono molto contento che Vendola sia stato assolto. Assoluzione vera, perché il fatto non sussiste. Non taroccata: assolto perché il reato è estinto per prescrizione, amnistia o perché non è più previsto dalla legge come reato.
Certo, non si tratta di una sentenza definitiva: è probabile che la Procura ricorra. E poi la verità processuale è solo il pallido fantasma della verità ontologica. È tutto quello che abbiamo per garantirci la convivenza civile, per attribuire torti o ragioni, condanne o assoluzioni; perché, se non l’avessimo, dovremmo risolvere i nostri contrasti con la forza. Ma è un’illusione pensare che il processo ricostruisca sempre la realtà, che accerti i fatti come si sono verificati. Può succedere, speriamo che succeda. Ma anche no; e, in questo caso, la sentenza resterà comunque lo strumento necessario per regolare i rapporti tra i cittadini.
Dunque non sono contento perché Vendola è innocente. Sono contento perché il processo a suo carico gli ha consentito di dare una straordinaria manifestazione etica: si è sottoposto al giudizio e si è impegnato ad abbandonare la vita politica in caso di condanna.
Straordinaria? Sì, lo è, con i tempi che corrono. Non accusare i giudici di malafede, persecuzione politica, asservimento all’opposta fazione, è cosa cui B. e i suoi epigoni ci avevano disabituato. Eravamo finiti in un rassegnato stupore: possibile che, processo dopo processo, continuino a ripetere queste calunnie eversive? Sì, è possibile, è avvenuto, sta avvenendo, cosa ci possiamo fare. Poi è arrivato Vendola e si è fatto processare; senza vittimismi, difendendosi nell’aula del tribunale, non su giornali e televisioni.
Ma davvero unico è stato l’impegno ad abbandonare la politica in caso di condanna. Condanna di 1° grado, attenzione. Non la mitica sentenza definitiva della Cassazione perché “c’è la presunzione di innocenza”, come sbandierato a ogni piè sospinto da quei giuristi d’accatto che hanno scoperto nella lunghezza (appositamente procurata) del processo penale la legittimazione del loro restare attaccati ai privilegi e al malaffare della funzione pubblica di cui si sono impadroniti.
L’impegno di Vendola (cui manca la controprova, è vero; ma nessuno sano di mente oserebbe non mantenere un impegno così pubblicizzato) segna la differenza tra lui e gli altri. Vendola sa che l’onorabilità politica è cosa diversa dalla colpevolezza processuale. Per formazione culturale ed etica prima che giuridica conosce l’art. 54 della Costituzione: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”. Non sono molti i politici che se ne ricordano. E sono troppi, tra loro, gli uomini d’onore senza onore.
Il Fatto Quotidiano, 2 Novembre 2012