Crescere tra costruttori, spettatori e distruttori
Nelle organizzazioni, nelle comunità, nelle aziende, grandi o piccole che siano, vi sono sempre dinamiche “umane” comuni ed approcci che si ripetono. Ci sono i costruttori, quella minoranza che traina il gruppo, che propone idee, alimenta il cambiamento e si assume responsabilità: sono quelli che si impegnano, spesso senza aspettarsi applausi, ma con la consapevolezza che il miglioramento passa attraverso il lavoro concreto, anche sbagliando.
Accanto a loro, troviamo il gruppo più numeroso, gli spettatori: sono coloro che osservano da lontano, senza mai mettersi in gioco; non prendono posizione né nel bene né nel male, eseguono il loro lavoro solo quando ricevono istruzioni precise e, se queste mancano, restano immobili. Lavoratori a comando che si limitano a fare il minimo indispensabile, senza mai avanzare idee o proporre soluzioni. Si rifugiano dietro frasi come: “Non è il mio compito” o “Non ho responsabilità”.
Infine, ci sono i distruttori: sono i criticoni, quelli che hanno un’opinione su tutto ma che raramente fanno qualcosa per cambiare davvero le cose. Sono gli eterni scontenti, qualsiasi proposta non va mai bene, qualsiasi iniziativa è destinata al fallimento, e qualsiasi cambiamento viene vissuto come una minaccia. A differenza degli spettatori i distruttori hanno una loro energia: un’energia negativa, certo, ma pur sempre energia.
La vera sfida, tuttavia, non è tanto affrontare i distruttori, quanto risvegliare gli spettatori e rendere proattivi i lavoratori a comando. È necessario motivare chi si limita ad osservare e ad obbedire evitando così ogni rischio e responsabilità.
Che si tratti di organizzazioni, di comunità o di aziende, troppo spesso ci si ritrova circondati da opinioni sterili. Parlare è facile: trovare soluzioni, invece, è difficile. E ancora più difficile è avere il coraggio di metterle in pratica. Quante volte, davanti a un problema, si sentono frasi come: “Non funzionerà mai”, “Non spetta a me risolverlo” o “È troppo complicato”.
Eppure, senza il coraggio di agire, non si cresce. Chi si limita a osservare o a giudicare non contribuisce al cambiamento: è solo un peso che rallenta il percorso di chi invece cerca di costruire.
Per cambiare le cose, serve impegno: occorre rimboccarsi le maniche, uscire dalla propria zona di comfort e prendersi dei rischi. Non è necessario essere perfetti: è più importante agire, anche sbagliando, che restare fermi. Non possiamo aspettarci che il cambiamento arrivi dall’esterno: dobbiamo essere noi stessi il motore del cambiamento.
Questa proattività vale per ogni ambito della vita: dal lavoro al volontariato, alla gestione ed amministrazione di una città. Parlare senza fare è come criticare una casa senza mai aver preso in mano un martello o una cazzuola.
Non è mai troppo tardi per invertire la rotta. Serve, però, una riflessione profonda e il coraggio di mettersi in discussione.
Chi guida una di queste realtà deve chiedersi: “Abbiamo davvero le persone giuste al posto giusto? Stiamo premiando l’impegno e l’innovazione o ci accontentiamo della mediocrità?”.
Ma anche chi ne fa parte deve interrogarsi: “Sto dando il massimo per il bene comune o mi limito ad osservare? Quando è stata l’ultima volta che ho proposto qualcosa di nuovo o che ho difeso una mia idea?”.
Non c’è crescita senza impegno, non c’è miglioramento senza responsabilità, e non c’è cambiamento senza azione.
È facile parlare. Costruire, invece, richiede fatica, ma è l’unico modo per progredire, come organizzazioni, come comunità, come aziende e, soprattutto, come persone.
Giovanni Piano