Il Vangelo ci narra che dopo il gioioso annuncio di pace ricevuto dagli Angeli, i Pastori corsero in fretta (cfr Lc 2,15-16) a Betlemme per incontrare l’Amore. Sì, perché Gesù è proprio quel Dio-Amore che con la sua Incarnazione, evento impensabile ed indicibile che segna un prima e un dopo anche nella conta degli anni della storia, ha messo fine al lungo esodo di Dio in cerca dell’uomo.
E la manifestazione di questo Amore così grande, non dimentichiamolo, ha esposto Dio, l’Onnipotente, alla precarietà della carne e al rischio di essere rifiutato e odiato dall’uomo.
Come i pastori di Betlemme anche noi, oggi, andiamo incontro a Cristo e corriamo a nostra volta incontro ai fratelli portando gioia a chi è nella sofferenza e nel dolore, pace agli oppressi che vivono le tante ingiustizie umane, speranza a quelli che sono nella disperazione, amore nei luoghi dove c’è odio e inimicizia.
Cari fratelli, Gesù vuole rinascere anche oggi nei nostri cuori: Egli si è fatto Bambino per rivelarci il suo amore, per mostrarci la sua umiltà, per farci suoi fratelli che partecipano alla sua stessa vita divina. Facciamo, perciò, nostre le tre parole fondamentali – gioia, pace e speranza – del messaggio degli Angeli ai Pastori, propagando la carità di Cristo e trasformandoci in persone che guardano la vita con amore e che hanno desiderio di raggiungere, come ci ha ricordato Papa Francesco, tutte “le periferie geografiche ed esistenziali della nostra società”.
Ai nostri giorni, una strisciante mentalità collettiva, sempre più diffusa, sta svilendo il Natale, trasformandolo in mera festa secolare, anestetizzandolo ed edulcorandolo in mille modi con linguaggi e modi estranei al messaggio evangelico. Si tratta di uno svilimento che sta facendo perdere innanzitutto la gioia per il mistero dell’Incarnazione di Cristo Dio e che sta determinando nel nostro contesto sociale anche la marginalizzazione della famiglia.
Nella nostra società individualista e inquinata, che tenta di mettere in disparte il Natale e che propina una cultura che ignora i deboli e i più fragili, gli ultimi del Vangelo, testimoniamo la bellezza della nostra cultura cristiana incentrata sul dono che ci mette in comunione con Dio e con i fratelli, gli ultimi, e che ha nella famiglia un modello unico e insostituibile per la crescita della società.
Sia, dunque, la nostra testimonianza speranza e conforto per tutti, in particolare per gli ammalati, i disoccupati, i genitori e gli educatori e per ogni situazione umana di sofferenza e di ingiustizia.
Invoco su tutta l’Arcidiocesi la benedizione del Signore, fattosi Bambino a Betlemme, che infonda nel nostro tempo la ripresa della costruzione di una società pacifica e solidale, ed auguro di trascorrere santamente e nella gioia questa festa tanto cara e amata da tutti.
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